L'anguria come simbolo di resistenza palestinese
L’anguria è divenuta nel tempo un potente simbolo di identità e resistenza palestinese, le cui origini affondano nelle dinamiche di oppressione culturale sviluppatesi nei territori occupati. La genesi di questo simbolismo si colloca nel periodo compreso tra il 1967 e il 1993, quando Israele, pur non vietando esplicitamente la bandiera palestinese, ne impedì di fatto la presenza nei territori occupati dopo la guerra dei Sei giorni.
Fu in questo contesto di censura che l’anguria iniziò a emergere come sostituto simbolico della bandiera palestinese. I colori del frutto – il verde della buccia, il rosso della polpa, il bianco della parte intermedia e i semi neri – riproducono infatti perfettamente la cromia della bandiera nazionale palestinese, offrendo un modo discreto ma efficace per mantenere viva l’identità nazionale.
Una ricostruzione alternativa riconduce l’origine del simbolo alla reazione di artisti palestinesi che negli anni Ottanta si videro vietare dall’esercito israeliano l’uso dei colori nazionali nelle loro opere. L’artista Sliman Mansour racconta di essere stato minacciato di confisca delle opere qualora avesse utilizzato quei colori, “fosse anche per disegnare un’anguria” – una minaccia che paradossalmente contribuì a consolidare il valore simbolico del frutto.
Il simbolo ha trovato nuova vita nell’era digitale: l’emoji dell’anguria, introdotta nel 2015, ha acquisito particolare rilevanza a partire dal 2021, durante l’escalation delle tensioni tra Israele e Hamas, divenendo un codice di riconoscimento e solidarietà diffuso sui social media e nelle comunicazioni digitali.
Oggi l’anguria rappresenta un esempio eloquente di come i simboli di resistenza possano nascere e prosperare anche sotto le forme più sottili di oppressione culturale, trasformando un semplice frutto in un potente veicolo di identità collettiva e memoria storica.
