«Sembra l’inizio di un mondo nuovo» Giuliana Tomba e i giorni della Liberazione di Budrio e Bologna

La partigiana Giuliana Tomba ha fatto la Resistenza anche a Budrio. In queste giornate dedicate alla Liberazione, abbiamo raccolto qui la sua testimonianza*.

…dopo 38 giorni di prigionia [mia sorella Maria Luisa ed io, il 10 febbraio 1945 ] fummo rimesse in libertà Dopo la sosta in casa Pirazzoli ripresi contatto col movimento e fui incaricata dal « Fronte della gioventù » di interessarmi della zona Budrio-Castenaso-Molinella, cosa che immediatamente feci.
 
Ricordo che subito mi adoperai, assieme ad altri compagni, per una manifestazione cui aderirono numerose donne, che si svolse il 2 marzo 1945 a Budrio e in quell’occasione andai con altri compagni a parlare col podestà. La manifestazione aveva per pretesto richieste di carattere annonario, ma subito prese un’altra piega e in breve smontammo i ritratti di Mussolini appesi ai muri e li facemmo volare dalla finestra nella piazza dove sostavano fascisti e tedeschi armati ed impotenti. Fu un successo per il morale della gente. Prima di questa manifestazione feci riunioni di vario genere, sia ai giovani, alle donne, ai militari, ai nostri gappisti e sappisti. […]
 
Ricordo di questo periodo un compagno giovane, che m’insegnò a sparare vicino a un argine di un fiume, e che in seguito, morì a Mezzolara, per un mitragliamento nel cortile di una casa dove io ero stata ospitata fino a pochi giorni prima. Egli prese il mio posto ed io andai a casa sua (alla «Fabbrica », si chiamava così, una grossa costruzione abitata da parecchia gente, tra cui le due sorelle ed i genitori di questo compagno) e fu qui che una delle sorelle che faceva la parrucchiera provvide ad ossigenarmi in modo da rendermi irriconoscibile.[…]
 
Durante questo periodo partecipai a numerose riunioni e mi interessai anche dei collegamenti e della scrittura di manifesti. Alla Maddalena di Budrio, che chiamavamo « la piccola Stalingrado », ne scrivemmo alcuni che vennero affissi anche sul portone della chiesa. […] Alla Maddalena erano tanti i compagni. e mia sorella abbiamo dormito presso una bravissima compagna, in un gruppo di case dove non una persona era al di fuori del movimento antifascista; il barbiere aveva addirittura una stanza cieca, con l’entrata nascosta da un armadio, per nascondere, se vi fosse stato bisogno, persone od oggetti.
Quel periodo, non fu lungo, ma fu denso di avvenimenti.
 
Ricordo i continui spostamenti, fatti a piedi, da Budrio a Castenaso, a Molinella, spesso senza mangiare perché si aveva pudore a chiederne ai compagni dove si sostava un momento e anche perché pensavo che ciò che davano a me dovessero sottrarlo dalla mensa. Per fortuna mi capitava che mi dessero cibo senza che lo chiedessi.
 
E venne Giacomino un giorno, in una casa della Maddalena situata a destra, di fronte alla chiesa, per dirmi di correre a Budrio, racimolare tutti i compagni od iscritti al «Fronte della gioventù» perché si recassero subito a Bologna per l’insurrezione. Presi una bicicletta e, attraversando fiumi senza ponti, con la bicicletta in spalla, arrivai a Budrio, asserragliata come in stato d’assedio, dai tedeschi. Mi fermano, rivoltella alla mano, e capisco che vogliono solo la bicicletta, per servirsene per la fuga; riesco ad entrare in Budrio ed ho difficoltà a trovare i compagni.
Finalmente, all’ospedale ne trovo alcuni, che però si rifiutano di recarsi a Bologna, perché ritengono che sia più utile la loro presenza in sede in quel momento critico.
Ritorno quindi, correndo, alla base della Maddalena, sotto aerei e bombardamenti di cannone, buttandomi a terra solo lo stretto necessario per la paura di perdere l’appuntamento con Giacomino per andare a Bologna. […]
 
[A Bologna], alla Montagnola, stanchi e sporchi, ci laviamo i piedi ad una fontanella, poi cerchiamo invano d’incontrare qualche compagno. Alla notte sentiamo i passi cadenzati dei tedeschi che sfilano sotto alle nostre finestre, ci alziamo di colpo, impugniamo le rivoltelle, mettiamo i bracciali, usciamo; non c’è ancora luce, ma di lontano si sente il rumore dei carri armati: sono gli alleati. Andiamo loro incontro e saliamo su di un carro armato; l’americano che sta sulla torretta non mi vuole su perché dice che ci sono i franchi tiratori, ma allora interviene violentemente il giovane compagno che è con me dicendo che queste donne hanno fatto ciò che hanno fatto gli uomini, se non di più, e che proprio se avessimo trovato i franchi tiratori, avremmo ancora combattuto. L’americano sorride, a malincuore, e poi ci dona cioccolata ed altre cose che non m’interessano. Sulle prime pare davvero preoccupato, poi si adatta sempre di più alla nostra presenza. Percorriamo tutta la via Mazzini, le mura fino ai Giardini Margherita e dopo un lungo giro arriviamo da fuori San Vitale passando proprio sotto casa mia, fino in centro. Ormai tutta la gente è per le strade, con una felicità che non ho più potuto vedere nei visi delle persone; la gente piangeva di gioia e ti abbracciava senza conoscerti. Era meraviglioso: sembrava davvero l’inizio di un mondo nuovo. Quanto sarebbe durato?
 
 
GIULIANA TOMBA
Giuliana Tomba, «Walda», da Tina Tomba; nata il 28 dicembre 1928 a Milano.
Nel 1943 residente a Bologna. Studentessa. Militò nella 4ª brigata Venturoli Garibaldi e operò a Bologna e Budrio. L’1 gennaio 1945 fu arrestata dall’UPI, unitamente alla sorella Maria Luisa, e nella sua abitazione vennero trovati numerosi stampati clandestini e documenti del CUMER. Dopo avere subìto duri interrogatori in questura, fu consegnata al comando delle SS in via Santa Chiara (Bologna). Liberata il 10 febbraio, si trasferì nella zona di Budrio dove riprese l’attività partigiana. Riconosciuta partigiana dall’1 gennaio 1944 alla Liberazione. Testimonianza in RB5.
 
 
*Testimonianza di Giuliana Tomba in Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna testimonianze e documenti, volume V, Istituto per la Storia di Bologna, 1980, pp. 660/664