Foibe: la storia va raccontata tutta. No a intitolazioni identitarie.

Intervento della capogruppo Debora Badiali nel Consiglio comunale del 30 ottobre 2020 in ordine alla proposta di intitolazione a Norma Cossetto, vittima delle foibe.

In merito all’intitolazione a una delle vittime delle foibe di un luogo del comune di Budrio, riteniamo utile fare qualche riflessione, anche al fine di evitare di ingenerare una corsa alle intitolazioni identitarie, politicamente targate o addirittura all’utilizzo strumentale di queste azioni simboliche, da qualsiasi parte provengano.
 
La prima riflessione – che ci porta a fare una proposta – è che l’ampia vicenda istriana durante la seconda guerra mondiale e dopo il ventennio di regime fascista non possa ridursi a una mozione di 10 righe. Serve – ecco la proposta – una riflessione culturale e storica più ampia, che coinvolga esperti, che confronti dati, testimonianze e documenti, che affronti la complessità di quegli anni, che tenga conto di tutto il contesto in cui si sviluppò quella vicenda.
 
Qualche spunto che riprendo da un utile approfondimento realizzato da un gruppo di storici in una lettera aperta in concomitanza della Giornata del Ricordo del 2017.
Innanzitutto va ricordato che Trieste e l’Istria non erano più territorio italiano: dopo l’8 settembre erano direttamente sotto l’amministrazione tedesca, cioè facevano parte, di fatto, del Terzo Reich.
Va inoltre ricordato che dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia era amministrata dell’Italia, ma oltre la metà della sua popolazione era composta da sloveni e croati. Lo stato italiano mise in atto un’operazione di “bonifica etnica” per eliminare completamente i non italiani dal territorio, attraverso violenze, leggi che limitavano l’uso delle loro lingue, lo scioglimento delle loro associazioni, la confisca delle proprietà e delle maggiori iniziative economiche, la chiusura delle scuole, l’italianizzazione forzata di nomi, cognomi e della toponomastica.
 
Nella presa di controllo del territorio, occupato fino a quel momento dalle forze italiane, da parte della popolazione locale slovena, croata e anche italiana), ci furono indubitabilmente anche esecuzioni sommarie che furono una risposta ai crimini italiani nella regione che proseguivano da un ventennio.
 
Appare impropria a molti storici l’interpretazione che gli italiani vadano considerati semplicemente come vittime. Buona parte delle uccisioni del 1943 in Istria avvenne mentre era in corso l’occupazione nazista che portò all’eliminazione di circa 5.000 persone tra civili e partigiani. Ma soprattutto, se si parla di questo tema, va restituito in modo compiuto il quadro delle responsabilità dello stato italiano sul confine orientale a partire già dalla prima guerra mondiale.
 
Le violenze nazifasciste non furono certamente inferiori a quelle degli jugoslavi, anzi. La popolazione civile di Trieste e della Venezia Giulia subì rappresaglie pesantissime per le azioni dei partigiani sul territorio. E l’entrata dei partigiani a Trieste nel maggio del 1945 significò la liberazione dei prigionieri della Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento nazista – ricordiamolo – in quello che adesso è territorio italiano, dotato di forno crematorio, nel quale morirono circa 5.000 persone e che vide il passaggio di altre 20mila per i campi di sterminio dell’Europa centrale. Non possono essere minimizzate le violenze del post-liberazione, alla base della quale vi era di tutto: la rivalsa per le passate atrocità nazifasciste, i regolamenti di conti personali, la volontà di attuare una rivoluzione comunista includendo Trieste nella Jugoslavia socialista. Allo stesso modo bisogna sapere che Trieste in mano ai nazisti non era certo un luogo più giusto e “meno violento”, a meno che non vogliamo offendere le vittime della Shoah e delle rappresaglie.
 
Un punto ormai consolidato in tutta la storiografia è, infatti, che va considerata e sottolineata la differenza che corre tra due fenomeni molto diversi: da una parte ci sono le violenze, anche gratuite e insensate, contro avversari politici (violenze di cui si sono macchiati anche partigiani italiani in altre zone d’Italia e che avvengono quasi inevitabilmente nei contesti di guerra totale come quelli). Dall’altra le violenze e le deportazioni indiscriminate contro comunità territoriali e intere “razze”: atrocità che facevano parte dell’ideologia stessa di chi guidava le azioni dell’esercito tedesco e di chi, in quegli anni, lo ha sostenuto politicamente e militarmente, in mezza Europa e soprattutto in Italia dove il regime di Mussolini fu fino alla fine alleato della Germania nazista.
 
“Denunciare gli aspetti repressivi del regime jugoslavo ha un senso, ben altro invece è mettere sullo stesso piano la violenza del movimento partigiano con quella ben più gratuita e massiccia dei nazifascisti, responsabili del tentativo di bonifica etnica durante il regime di Mussolini e della violenza durante il governatorato della Zona Operazioni del Litorale Adriatico, antecedenti e quindi alla base di quanto accadde successivamente.” Scrivono gli storici a cui mi riferivo prima. Molto ci sarebbe da dire, poi, sull’esodo degli italiani istriani verso l’Italia, sulle ragioni che lo hanno prodotto. Anche qui la complessità del contesto culturale, economico e ideologico ha certamente un peso, insieme alle violenze anti italiane. “Dal 2005 la giornata del 10 febbraio conserva e rinnova la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (legge 30 marzo 2004 n. 92). La legge che istituisce la Giornata del Ricordo, in questo passaggio, indica correttamente la strada, che viene lasciata aperta alla necessaria contestualizzazione di quei fatti nel quadro più ampio e – purtroppo per noi italiani – meno edificante della seconda guerra mondiale.
 
Qualche numero e poi le conclusioni. A causa dell’invasione nazifascista in Jugoslavia morì un milione di persone su neppure 15 milioni di abitanti. Nella sola provincia di Lubiana 15mila persone vennero fucilate dagli occupanti tedeschi e italiani. Nel lager italiano di Arbe/Rab morirono circa 1.500 internati su 10.000 (in massima parte donne, vecchi e bambini). Nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste ho già detto di 5.000 vittime: civili e resistenti sloveni, croati, italiani ed ebrei. Dunque è ricordare che le vittime innocenti non sono state solo italiane. Il dibattito intorno alle foibe, diventato ormai un momento identitario per la destra Italiana, non può essere condizionato da omissioni e censure rispetto alla storia che va raccontata tutta e bene.
 
Anche in considerazione del fatto che a Budrio esiste già da diversi anni una strada intitolata alle vittime delle foibe, chiediamo dunque che, invece di confrontarci su intitolazioni che finiscono per provocare inevitabilmente divisioni, si sviluppi una riflessione e un approfondimento di tipo storico per restituire alla cittadinanza la complessità di questo tema.